Octavian Paler è uno dei maggiori scrittori rumeni dell’ultimo secolo.
Paler ha scritto tantissimo, ogni genere di opera, dai saggi, ai racconti di viaggio, al giornalismo, alle poesie.
Perseguitato a lungo dalla Securitade, la polizia segreta rumena, rimase sempre un “uomo libero”, anche quando il vecchio mondo concentrazionario finì, per essere sostituito da nuove prigioni.
Ma qui non mi interessa farvi la biografia di Paler, personaggio di cui fino a ieri ignoravo anche l’esistenza, ma condividere con voi “Lettera al signor Holderlin”.
Mi sono trovato casualmente a leggerla, un po’ come le cose migliori che ho incontrato finora, si sono sempre fatto strada “per caso”;
come quei film dove una ragazza compare per caso mentre passa un tipo un bicicletta, quello inevitabilmente le cade addosso,e poi (quasi) inevitabilmente si sposano.
Mi piace di queste parole il loro essere all’esatto opposto di un canto della sconfitta e della disillusione.
Non so quante volte ho visto andare in scena il canto del declino.
La moda, quasi, della disillusione.
Ci sono caterve di tomi sulla disillusione, sull’accettazione della sconfitta come inevitabile “traguardo” dell’uomo contemporaneo.
E ci sono poeti che cantano l’inevitabilità della tristezza, il rimpianto come finale orizzonte del vivere.
E ci sono film il cui realismo totale è l’essere puro specchio di una realta degradata. Non uno specchio con un bagliore in lontananza. Non un senso di riscatto tra le righe. Ma solo una cronaca amorfa di quanto c’è di sporco e di avvilito nelle vie nere di città senza uscita.
“A cosa serve il poeta in tempo di povertà?”.. parte da questa domanda Paler, per dire..
“Il vero coraggio della poesia forse non è cantare le piogge quando tutto il mndo le vede,
il vero suo coraggio è di vedere il cielo incendiato e sperare”
Di fronte all’ìnevitabilità della carestia….
“annuncia alla fortezza, alla terra, che la pioggia esiste,
annuncia agli uomini che hanno il dovere di sperare.”
Che la pioggia esiste. C’è tutto in questa frase.
La pioggia esiste.
Dire, proprio nelle epoche di siccità che “la pioggia esiste”.
Non crederdlo come forma di auconsolazione.
Non “benefica illusione”.
No.. ma CREDERE che la pioggia esiste, e farla intravedere, trasmetterla da mente a mente, come un contagio, farla “vedere”
dando ad essa parola, pronunciandola, richiamandola alla via, preannunciandola.
E poi..
“A cosa serve il poeta, in tempo di siccità?
Per cantare le piogge proprio allora,”
Proprio allora. Non a raccontare di future morti. Non accordarsi al coro di chi prepara le bare.
Non essere delle razza dei corvi neri.
E’ adesso che devi credere nella pioggia, proprio perché c’è la siccità.
Ed è adesso che devi parlare di lei, proprio perché si è persa ogni speranza.
Ed è adesso che devi mettere la mano sul fuoco, perché il coraggio è una sfida al buio.
Ma dire “il poeta” è restrittivo.
Non me ne frega nulla se sei “poeta”.
Ma ti chiedo di non essere tra le vecchie stitiche,
di non giocare al pallottoliere coi cadaveri,
di non farmi “l’elogio dell’impotenza”.
Di ricordare che “la pioggia esiste”.
Vi lascio a “Lettera al Signor Holderlin” di Octavian Paler
——————————
LETTERA AL SIGNOR HOLDERLIN
E’ scritto da qualche parte in un verso: “A cosa serve il poeta,
in tempo di povertà?” E proprio questo mi dà l’audacia
di rivolgermi ad un grande poeta e dire che il vero
coraggio,
il vero coraggio della poesia forse non è cantare le piogge
quando tutto il mondo le vede, il vero suo coraggio è di vedere
il cielo incendiato e sperare. E prima che sia la pioggia vera
che bagna i campi, la pioggia sia speranza e canto.
Il poeta
annuncia alla fortezza, alla terra, che la pioggia esiste,
annuncia agli uomini che hanno il dovere di sperare. Un poeta
davanti ad un cielo bruciato, davanti ad un campo incendiato
e che non è capace di cantare e credere nelle piogge,
di ricordarci che la pioggia esiste, e che farà fiorire
la terra malata,
un poeta che non è un profeta della speranza,
un poeta con le labbra arse che non sente il bisogno
di cantare le piogge del mondo
non ha capito che la poesia è prima di tutto una forma di
speranza.
A cosa serve il poeta, in tempo di siccità?
Per cantare le piogge proprio allora,
quando abbiamo più bisogno di loro, quando ci
mancano e le desideriamo,
quando il sole brucia e le mani profumano di incertezza,
quando gli alberi di sabbia si disfano al più piccolo
soffio,
quando i ricordi hanno il gusto dell’errore e la speranza è una
parola difficile
e colui che canta le piogge rischia di essere disprezzato e colpito
anche con le pietre, perseguito dagli dei e dagli uomini
per la pazzia e il coraggio col quale canta
le piogge e canta i torrenti quando gli uomini alzano le braccia
rimanendo crocifissi in aria come sul monte Golgota.
Chi deve annunciare le piogge
se non la poesia? Chi può avere il coraggio di vedere
sul cielo vuoto nuvole di pioggia,
chi si prende il rischio di profetizzare le piogge se non la poesia,
quella che è stata con i Greci sotto le mura di Troia
e quella che è scesa con Dante nell’Inferno?
(Octavian Paler)