Quando il 26 settembre, 43 studenti messicani sono stati sequestrati e mai più ritrovati, fui molto colpito dalla vigorosa forza morale che trasmettevano le manifestazioni di protesta fatte in Messico; e anche di come questa vicenda ha avuto risonanza in molte parti del mondo, con una catena di indignazione e solidarietà che non ha trovato confini. Volevo scrivere qualcosa di un po’ più approfondito sulla vicenda, e per questo avevo bisogno della “voce” di qualcuno che lì, sul posto, avesse una conoscenza di prima mano dei fatti e del contesto. L’amica messicana Ana Lara mi ha messo in contatto con Araceli Olivos Portugal, avvocatessa messicana a difesa dei diritti umani e che da questo momento chiamerò semplicemente Chely. Per fare capire il livello del personaggio, cito di seguito la presentazione che di se stessa e del suo lavoro ha fatto Chely:
“Il mio nome è Araceli Olivos Portugal, avvocatessa nel area di difesa nel Centro dei Diritti Umani Miguel Agustín Pro Juárez (Centro Prodh) di Città del Messico. Nel 2011, in seguito alla mia collaborazione come volontaria in Amnesty International Messico così come in altre organizzazioni locali, ho deciso di fare parte della grande battaglia giuridica per la libertà e i diritti umani; apportando le mie risorse umane, e la mia poca conoscenza che avevo in quel tempo, alle diverse lotte. Il Centro Prodh è stato da allora il posto dove ho imparato ad amare il lavoro collettivo, le strategie di difesa giuridica e politica per chi storicamente è stato sempre stigmatizzato, rifiutato e violentato: persone e popoli indigeni, contadini, migranti, donne, vittime di repressione sociale, difensore e difensori dei diritti umani.In questi anni nel Centro Prodh ho conosciuto, accompagnato e difeso, assieme ai miei compagni e compagne, donne sopravvissute alla tortura sessuale perpetrata dalla polizia, dai militari e marines; persone indigene falsamente accusate di reati; persone torturate al fine di farle confessare reati che non hanno commesso; comunità indigene e contadine che difendono la propria terra e il proprio territorio da diverse forme di saccheggio. Ci sono state anche molte altre esperienze: dato che ogni anno accogliamo più di 300 persone che richiedono consulenza giuridica.Ed è proprio questo posto ad essere stato, da quattro mesi, punto di incontro, discussione e riposo per le madri e i padri dei 43 normalisti Ayotzinapa, scomparsi. Ho imparato a sentire il Messico e la sua sua resistenza.”
Ho chiesto a Chely di scrivermi una relazione sulla vicenda degli studenti spariti e Chely mi ha inviato un testo che è stato per me la fonte principale di materiale per la scrittura di questo pezzo. A questa fonte ho aggiunto elementi presi da vari articoli e reportage. Sebbene il testo di Chely mi sia stato prezioso in merito ad ogni passaggio di questo articolo, ci saranno dei momenti in cui la citerò direttamente e, in conclusione dell’articolo, e prima delle foto, riporterò un grosso estratto della sua relazione.
Andiamo adesso ai fatti. Il 26 settembre 2014, alle ore 21.00, nella città di Iguala 80 studenti della scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, in maggioranza indigeni, si dirigevano alla città di Chilpancingo su tre autobus della Costa Line, temporalmente espropriati in maniera pacifica, alcuni minuti prima, dopo avere organizzato una colletta per raccogliere fondi. Quegli studenti protestavano contro le (contro)riforme dell’istruzione attuate in Messico e, in particolare, contro quelle misure che stanno sempre di più indebolendo il mondo delle scuole rurali.Guerrero è uno tra gli stati messicani più violenti. Da sempre teatro del narcotraffico, della spietata repressione militare e paramilitare e della guerriglia.
Tornando alla dinamica degli eventi del 26 settembre; gli autobus si trovavano all’uscita del terminale degli autobus, con destinazione a Chilpancingo, quando arrivarono quattro pattuglie della polizia locale, che circondarono gli autobus, impedendo loro di andare avanti. A quel punto i poliziotti iniziarono una sparatoria, senza avere fatto prima alcun avvertimento. Secondo alcuni testimoni, oltre alle pattuglie della polizia locale, c’erano anche una o più pattuglie della polizia statale, che non hanno fatto nulla per difendee gli studenti.I ragazzi, terrorizzati da quello che stava succedendo, scesero dagli autobus, dicendo cose come “basta, basta, non abbiamo armi”. Ma i poliziotti continuarono a sparare forsennatamente.
Uno studente cadde ferito. Gran parte degli altri studenti si disperse in vari direzioni. La sparatoria durò 40 minuti, un tempo davvero lungo. E, ricordiamolo, si trattava di studenti inermi, nessuno dei quali armato. Tra l’altro, tra gli autobus, ce ne era anche uno con ragazzi che erano di una squadra di calcio di terza divisione, Los Avispones di Chilpancingo.Il bilancio di questa prima sparatoria è stato quello di uno studente -quello a cui si è accenato prima- che si trova ancora in coma vegetativo. Dopo un po’ì i poliziotti se ne andarono portando con sé una ventina di studenti in stato di arresto.Gli altri studenti riorganizzarono e restarono sul mosto, mettendosi ad aspettare il pubblico ministero che avrebbe dovuto raccogliere i dati investigativi. Alle 23:30 cominciarono a giungere, per supportare gli studenti, professori, studenti, giornalisti e organizzazioni locali. Alle 24:00, mentre gli studenti stavano raccontando, ai media presenti, quanto era accaduto, arrivò una pick-up rossa da cui scesero individui armati che presero a sparare sulla folla. Durante la sparatoria, le persone presenti –studenti, giornalisti, professori- correvano in tutte le direzioni. Alcuni di loro trovarono rifugio in alcune case della città. Questa volta la sparatoria durò 15 minuti, e il risultato furono due studenti morti e cinque persone ferite.
Il giorno successivo, 27 settembre, gli studenti si raggrupparono nella Fiscalia Statale (un distaccamento di polizia dove vengono portate le persone arrestate), fecero dichiarazioni sui fatti accaduti e chiesero di constatare l’integrità fisica degli studenti portati via dalla polizia municipale. Ma in quella struttura non trovarono nessuno; il Direttore della Pubblica Sicurezza aveva permesso di agli studenti di verificare loro direttamente. Quello stesso giorno, alle ore 16:00, gli studenti vennero a sapere che, proprio a tre isolati da dove erano avvenuti i fatti, era stato trovato il corpo di uno studente, sul quale risultavano visibili tracce di tortura. A questo studente erano stati cavati gli occhi e scorticata la faccia. Il bilancio complessivo degli eventi del 26 settembre fu di: 6 morti, 25 persone ferite, e 58 persone scomparse, che alla fine si ridussero a 43. Queste 43 persone non verranno più ritrovate.
Non era la prima volta che gli studenti di Ayotzinapa subivano simili violenze. Il 12 dicembre 2011, come conseguenza di un fallito sgombero nella “Autostrada del sole”, dove si svolgeva una protesta di normalisti, persero la vita tre persone e altri tre studenti furono feriti gravemente. Inoltre furono documentati almeno 24 casi di detenzioni arbitrarie, un caso di tortura, e altri 7 casi di gravi trattamenti inumani. I responsabili di quegli eventi rimasero –come avviene quasi sempre in Messico- impuniti. Gli unici poliziotti che si trovavano sotto processo, sono stati esonerati l’anno scorso.Torniamo alle vicende del settembre 2014. Le autorità dello stato di Guerrero incominciarono le ricerche degli studenti scomparsi solo due giorni dopo. E lunedì 29 settembre il governo federale inviò l’esercito, e autorizzò l’uso di elicotteri. Soldati e polizia dello Stato si sono uniti nelle ricerche, ma senza alcun esito.
Il Messico è un Paese dove, da sempre, vengono fatte sparire le persone. Spesso questo avviene nel silenzio. Questa volta però l’indignazione è stata enorme. Ovunque vi sono state manifestazioni e proteste. Probabilmente mai in Messico c’era stata una mobilitazione generale contro quella che è stata considerata come una “violenza di stato”. Le autorità messicane si sono trovate in grave imbarazzo all’interno e all’esterno del paese. Dopo alcune settimane il caso ha trovato una “risoluzione”; che rappresenta la “versione ufficiale dei fatti”. La dinamica, in sostanza, sarebbe stata questa: il sindaco di Iguala, Josè Luis Abarca non voleva che gli studenti disturbassero il comizio della moglie, Maria de los Angeles Pineda, tra l’altro molto legata a esponenti del cartello narcos dei Beltran Leyva. L’ostilità verso gli studenti comunque va collocata, come vedremo più avanti, in un contesto di ostilità generale del potere contro le rivendicazioni sociali in genere, e quelle degli studenti delle scuole rurali in particolari. Comunque, torniamo alla dinamica dei fatti. Il sindaco di Iguala avrebbe chiesto alla corrottissima polizia locale di arrestare questi studenti e di consegnarli al gruppo narcos Guerreros Unidos. I narcotrafficanti del gruppo Guerreros Unidos, una volta “ricevuti” questi studenti, li avrebbero interrogati in quanto li sospettavano di essere membri di una gang rivale, quella dei Los Rojos. Dopo l’interrogatorio, non fidandosi di quelle che potevano essere state le dichiarazioni dei ragazzi, i marco trafficanti gli avrebbero dato fuoco e avrebbero gettato i loro resti in un fiume. Lo stesso leader dei Guerreros Unidos, in galera dal 15 gennaio, avrebbe confermato questa visione. Il primo cittadino di Iguala non era certo un uomo da precedenti che promettessero bene. Infatti, già nel 2003, era stato sospettato di avere organizzato l’omicidio di un attivista politico, Arturo Cardona. Mentre la moglie, come abbiamo visto, era legata ad esponenti del cartello dei Beltran Leyva, sotto il quale agiscono anche i Guerreros Unidos. L’inchiesta giudiziaria, comunque, avallata dal governo federale, ha sposato questa ricostruzione dei fatti e sono stati arrestati il sindaco, la moglie, e altre 44 persone, tra cui gli agenti della polizia provinciale che avrebbe sparato sui ragazzi. Per avvalorare la tesi ufficiale, si è ipotizzato che vari cadaveri carbonizzati, trovati in punti diversi del municipio di Iguala potessero essere quelli di questi ragazzi. Ma, tranne per un solo caso, dove pare si tratterebbe davvero di uno degli studenti normalisti spariti il 26 settembre, in tutti gli altri casi, gli esperti internazionali coinvolti dai genitori hanno dichiarato che non si trattava di quei ragazzi. In un forno crematorio abbandonato di Acapulco, a 200 chilometri da dove avvenne il rapimento, sono stati trovati altri 61 cadaveri; ma anche in questo caso le analisi fatte non hanno portato alla identificazione di nessuno degli studenti scomparsi. non sono stati identificati nessuno degli studenti arrestati.
A rendere ancora più traballante la ricostruzione ufficiale dei fatti vi sono, inoltre, altre risultanze, come il diario di bordo di un pilota militare, Andreàs Pascual Chombo Lopez, che ha sorvolato la zona nell’ambito della quale sarebbero stati bruciati gli studenti, proprio durante il lasso temporale in cui quell’evento si sarebbe verificato (tra il 26 e 27 settembre, subito dopo la cattura degli studenti); ma non riscontrò “nessuna novità” da segnalare. Lo stesso è avvenuto con un elicottero del governo di Guerrero impegnato nelle stesse ore nelle ricerche con voli a bassa quota. Per gli esperti dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) è praticamente impossibile bruciare 43 corpi fino a renderli quasi irriconoscibili senza provocare una grande quantità di fuoco e fumo, visibili anche a chilometri di distanza. I dati contraddittori in questa vicenda sono davvero tanti. Come quello concernente le segnalazioni al numero di emergenza della polizia federale. Una chiamata, registrata alle ore 21,32 del 26 settembre, segnalava la presenza dei ragazzi al terminale dell’autobus, dove era partita la sparatoria. Un’altra chiamata, otto minuti più tardi, aveva segnalato una sparatoria nel centro di Iguala. Ma nonostante queste chiamate, la polizia federale non mosse un dito.
Ma anche se questi e altri elementi di contraddittorietà con le ricostruzioni ufficiali non fossero emersi, gran parte dei genitori e, una notevole parte dell’opinione pubblica messicana, continuerebbero a non fidarsi di esse. Non si contesta tanto il coinvolgimento del sindaco –che come si è visto non era certo uno stinco di santo- e della polizia provinciale in questa storia. Ma non si crede che siano stati loro gli unici attori. Così come non convince affatto la rapida attribuzione della responsabilità, delle uccisioni degli studenti, ai narcos. Quello che molti ritengono è che il sindaco probabilmente ha effettivamente dato mandato alla polizia provinciale di aprire il fuoco sugli studenti e di fare arrestare parte di essi, ma che, questa decisione non sia partita esclusivamente da lui, ma da mandanti su un livello più alto. E, soprattutto, si ritiene, che ad eliminare questi ragazzi siano stati, non i narcos, ma i militari; che “l’esecutore finale” sia stato l’esercito. Nella storia del Messico –come vedremo più avanti- specialmente durante gli anni della Guerra Sporca, ma anche successivi, il coinvolgimento dell’esercito nelle sparizioni di centinaia di persone è stato ormai acclarato. L’indignazione massiccia che ha scosso il Messico dopo la sparizione di questi ragazzi non è comprensibile se non si tiene conto della sostanziale certezza, che molta parte della popolazione ha, che, in una vicenda del genere, siano implicati anche apparati governativi ed i militari. Le persone che hanno protestato ovunque in questi mesi, infatti, non hanno chiesto solo giustizia per il caso di questi ragazzi, ma giustizia per tutto il Paese; hanno espresso una indignazione totale verso un mondo di terrore e illegalità che non vogliono più accettare.
Come scrive Cheli:
“Ovunque si sente urlare a grande voce: #NonViCrediamo, #ÈstatoLoStato, #MiSonoStancato, #AyotzinapaSiamoTutti.Nella coscienza collettiva alcuni argomenti si sono fortificati: è stato lo Stato, non è un fatto isolato, l’impunità è l’incentivo e la radice dello Stato delinquenziale.Infatti, è stato lo Stato e i suoi corpi di polizia che hanno fermato e fatto sparire agli studenti. Lo stesso Stato che non indagò nella immediatezza dei fatti. Lo stesso Stato che durante decade ha criminalizzato i movimenti popolari avvalendosi del diritto penale come meccanismo di controllo. È stato lo Stato a non garantire la sicurezza dei cittadini, lo Stato a implementare una strategia di stato di eccezione. È lo Stato chi ha permesso la penetrazione del crimine organizzato fino alla fusione di esso con le istituzioni pubbliche.”
Sempre in riferimento al grumo di potere, responsabilità, connivenze, che operano nel sistema Messicano, scrive Cheli:
“Iguala è stata possibile, tra altre cose, grazie alla garanzia di impunità e dimenticanza che ha protetto agli autori di questi crimini. Sono passate vari decenni, più di mille persone scomparse in Messico, non sono ancora state ritrovate. Sono decenni che lo Stato funziona solo in apparenza. La sua efficienza istituzionale venne notata nella quantità di arresti, grossi processi penali e carceri sature.Il Messico è un paese di simulazioni dove rimangono impuniti il 98% dei reati. Un sistema che investiga e invia a processo molto raramente e, quando questo accade, nella maggior parte dei casi, si usano detenzioni arbitrarie, false testimonianza, torture per ottenere confessioni auto-incriminatorie e fabbricare responsabili. Gli agenti del Pubblico Ministero e la Magistratura formano una catena efficiente per riempire le prigioni di innocenti, punire la povertà, la ignoranza, la vulnerabilità. A questo punto è rilevante l’impunità dei crimini contro l’umanità commessi durante la Guerra Sporca da parte di agenti dello Stato. Tutto questo propizia la ripetizione di fatti simili nell’attualità, inclusi gli atti di sparizione forzata, le esecuzioni extra-giudiziarie così come l’uso sistematico della tortura da parte di agenti delle forze del ordine.”
Il “sistema di azione” collaudato ai tempi della “guerra sporca” non sarebbe stato ancora smantellato. Le persone “fatte sparire” verrebbero portate in apposite strutture militari dove verrebbero illegalmente detenute e poi eliminate. Come scrive Chely:
“Nel Centro Prodh abbiamo la totale convinzione che in Messico esista uno schema di detenzioni illegali, in molti casi di sparizione forzata perpetrate nelle istallazioni militari, schema accreditato dalla Guerra Sporca. Tuttavia l’esercito non ha mai riconosciuti formalmente la sua partecipazione, tutto questo perché non ha mai esistito un processo serio di giustizia e di indagine su questi reati. (..) Ayotzinapa ha svelato, ancora una volta, la mafiocrazia messicana. Un sistema dove la detenzione illegale, le esecuzioni extragiudiziali, la tortura e la sparizione forzata sono strumenti di controllo sociale, di dominazione, intimidazione, utili per controllare il territorio, fabbricare colpevoli, criminalizzare a settori considerati vulnerabili per lo Stato, disarticolare e immobilizzare.Attivisti sociali, difensori dei diritti umani, uomini e donne in situazione di esclusione, migranti, indigeni e giovani sono i soggetti a maggior rischio di stigmatizzazione, criminalizzazione e eliminazione. La responsabilità internazionale dello Stato Messicano nei crimini del passato e degli ultimi otto anni è innegabile. L’impunità continua a essere il suo incentivo.”
Il governo messicano è comparso il 2 e il 3 febbraio di fronte al Comitato contro la Sparizione Forzata delle Nazioni Unite, che ha sede a Ginevra. Una delegazione dei genitori degli studenti scomparsi e rappresentanti del Centro Prodh e Tlachinollan sono stati presenti.La vicenda di Ayotzinapa è collegata anche al ruolo particolare che le scuole rurali “normali” svolgono nella società messicana. Le scuole normali rurali sono presenti solo nelle zone rurali del Messico e non nelle grandi città. Esse servono a formare insegnanti di scuola elementare, oltre, in via più generale, a dare ai figli dei contadini strumenti intellettuali e approcci concreti circa la gestione terra . Sono considerate l’unico vero orizzonte di riscatto che si apre per i figli dei contedini indigeni. Si tratta di uno dei frutti nati dalla scia della gloriosa rivoluzione di Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Esse avevano lo scopo di alfabetizzare e dare ai figli dei contadini le conoscenze per partecipare alla vita pubblica e sapere il più possibile in merito alla conoscenza della terra e alla gestione dei campi. Queste scuole dovevano servire a “risvegliare” la coscienza collettiva del popolo rurale, e a permettere l’affermarsi di quella democrazia dal basso per la quale avevano lottato Villa e Zapata. E si può dire che questo è quello che sostanzialmente hanno fatto. Inoltre, chi si diploma in queste scuole, è abilitato a svolgere la funzione di insegnante (anche se non in tutte le scuole). I ragazzi che si diplomano, tornano nelle loro comunità diventano, in un certo senso, punti di riferimento, per il riscatto sociale. Queste scuole sono state sempre viste con ostilità dal potere federale e da quello locale. Si è capito come le persone che uscivano da esse erano più coscienti, agguerrite, consapevoli dei propri diritti. Queste persone erano scomode per il potere ed allora è iniziata, nei decenni, da parte del Governo federale e dei governi statali, la “guerra” contro le scuole rurali. All’inizio erano tante, adesso ne sono rimaste solo una quindicina, che vengono sottoposte ad ogni genere di provocazioni e attacchi. Una delle motivazioni per cui si vuole procedere alla chiusura di queste scuole si basa sul fatto che alcuni gruppi guerriglieri sono usciti fuori proprio da quelle scuole. I governi , inoltre, argomentano la necessità della sparizione di queste scuola anche in ragione della supposta diminuzione della popolazione rurale. Come scrive Chely:
“In realtà l’opposizione del governo alle scuole rurali è dovuta al ruolo che queste hanno nel cercar di cambiare la realtà della povertà e la mancanza di mobilità sociale nelle zone rurali. Tutto questo implica criticare le politiche dello Stato; ed è questa la ragione per cui da anni le scuole normali rurali hanno delle difficoltà per continuare a funzionare, dato che il governo ha tagliato i fondi a loro destinate, ha chiuso alcune di loro e ha usato la discriminazione contro i suoi laureati come strategie per fare sparire del tutto la figura della scuola normale rurale.”
Eventi come quelli del 26 settembre, con tutto ciò che ne è conseguito (la sparizione e la quasi certa morte di più di 40 studenti) sarebbero, quindi, sostanzialmente frutto di una strategia di disarticolazione sociale tramite l’aggressione violente a “focolai” di coscienza e resistenza popolare quali sono queste scuole rurali. Strategia coerente, del resto, con la decennale opera di desertificazione sociale tentata in Messico contro ogni voce di resistenza e di libertà. L’aggressione violentà del 26 settembre e la sparizione e la fine (probabilmente) orribile di quei ragazzi, aveva probabilmente, quindi, anche lo scopo di dare un colpo durissimo alle proteste degli studenti e all’esistenza di queste scuole, ingenerando una atmosfera di disperazione e intimidazione.Il risultato è stato diametralmente opposto, e ha rappresentato un fallimento di questa “strategia della tensione” in salsa messicana. L’evento ha scatenato una reazione collettiva in tutto il Paese come raramente si è vista nella storia messicana. Queste reazioni sono state capaci di colpire anche l’immaginario collettivo di altre nazioni; e azioni di protesta contro i fatti e di solidarietà verso gli studenti sono state organizzate in tutto il mondo.Tutte quelle persone che in Messico lottano per la giustizia e la libertà non solo non si sono avvilite e demoralizzate, ma sono diventate ancora più accanite nell’accusare lo Stato per i suoi crimini e nel pretendere verità. L’indignazione si è propagata come un’eco, con manifestazioni e proteste ovunque. E per quanto riguarda gli studenti delle scuole rurali hanno ancora più motivazione di prima, ancora più volontà di salvare le loro scuole e di agire per la difesa dei loro territori e delle loro comunità.Questa strage (perchè quasi certamente di strage si tratta) molto probabilmente frutto di complicità a tutti i livelli, si è rivelata, a conti fatti, un boomerang per chi l’ha promossa ed attuata. In conclusione, prima di alcune foto delle proteste che vi sono state in Messico, voglio riportare un estratto della relazione che mi ha inviato Chely. In questo estratto si ricostruisce storicamente il fenomeno della “sparizione forzata in Messico”. Esso aiuta a comprendere come i fatti di Ayotzinapa, non sono che l’ultimo atto di un “fiume delle prepotenza” che ha radici lontane.
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• IL FENOMENO DELLA SPARIZIONE FORZATA IN MESSICO
A) LA “GUERRA SPORCA” CONTRO MOVIMENTI SOCIALI NEGLI ANNI SESSANTA, SETTANTA E OTTANTA.
In Messico si conosce come Guerra Sporca al periodo di tempo che comprende dalla fine degli anni 60 fino alla metà degli anno 80 del secolo scorso. Quel periodo ebbe come caratteristica la risposta repressiva dello Stato Messicano davanti alle richiese politiche e sociali di diversi gruppi cosi come le gravi violazioni ai diritti umani caratterizzate per esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate contro questi gruppi.Durante la Guerra Sporca, le istituzioni di giustizia erano al servizio della strategia repressiva, in maniera tale che i familiari delle persone scomparse non disponevano di effettive risorse legali né per la ricerca dei propri parenti ne per l’indagine sui fatti. Tuttavia, i familiari insistettero, fecero azioni di ricerca – andando persino nei quartieri militari- e denuncie pubbliche. Fu in questo periodo che si formano diverse organizzazioni di familiari di persone scomparse. Saranno esse che, in condizioni profondamente avverse, inizieranno a portare avanti la difesa dei diritti umani delle vittime della repressione. A livello interamericano, la Corte Interamericana ebbe l’opportunità di analizzare alcune delle circostanze generali di questo periodo con il caso Radilla Pacheco vs. México, stabilendo che il governo era stato incapace di prevenire, investigare e sanzionare i fatti; così come indagare la sorte delle vittime di detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate . Nel frattempo, in Messico la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) stabilì, nella Raccomandazione 26/2001 che, durante questo periodo storico, lo Stato implementò una politica repressiva con la pretesa finalità di eliminare gruppi sovversivi, tutto questo con la partecipazioni di soggetti e strutture dipendenti dal potere statale, in particolare la denominata “Brigata speciale o Brigata Bianca”, che era prevalentemente formata da della Direzione Federale di Sicurezza, della Procura Generale della Repubblica, della Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale, della Direzione Generale di Polizia e transito del Distretto Federale, della procura Generale di Giustizia dello Stato di Messico e dell’ Esercito Messicano”. Non esiste un registro totalmente affidabile sul numero di vittime delle gravissime violazioni dei diritti umani durante il periodo della Guerra Sporca. In riferimento alla sparizione forzate di persone, la CNDH ha riconosciuto più di 500 casi; anche se le organizzazioni civili calcolano che sarebbero state circa 1,200 le persone fatte sparire. La sparizione forzata mieté vittime negli stati di Guerrero, Chihuahua, Hidalgo, Chiapas, Veracruz, Sonora, Oaxaca, Sinaloa, Michoacán e Città del Messico, tra altri. La risposta dello Stato Messicano ai crimini perpetrati durante la Guerra Sporca si formalizzò nel 2001 con la creazione della Commissione Speciale d’Inchiesta sui Movimenti Sociali e Politici del Passato (FEMOSPP). Lo scopo di questa commissione era investigare sui 532 casi di sparizione documentati, così come sui due massacri commessi contro i membri del movimento studentesco nel 1968 e 1971, . La commissione ottene una grande quantità di informazioni, documenti, foto e altri dati.Nel novembre 2006, un giorno prima del inizio della amministrazione di Felipe Calderón Hinojosa, la FEMOSPP venne sciolta per l’accordo A/317/2006 dal Procuratore Generale della Repubblica, senza alcuna giustificazione. Chiusa la FEMOSPP le pratiche furono inviate a una struttura totalmente carente di perizia sulla materia, così come delle risorse materiali ed umane per fare fronte ad una tale carica di lavoro. Negli anni successivi alla chiusura della FEMOSSPP, lo Stato Messicano ricevette pressioni da parte di organizzazioni messicane così come di organismi internazionali riguardo all’urgente bisogno di giustizia per i crimini delle Guerra Sporca. Una di queste pressioni richiede che lo Stato riapra un organo speciale per indagare sul tema. Tuttavia tale richiesta non è stata accettata.
B)LA GUERRA FALITTA CONTRO IL CRIMINE ORGANIZZATOPer riuscire a contestualizzare questo tema a livello nazionale, consideriamo opportuno fare riferimento alle ancora dolenti conseguenze della guerra contro il narcotraffico. Solo nel 2012 la Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ricevette 1921 denunce a carico delle forze armate e 802 contro la Polizia Federale. Secondo i datti del Osservatorio Cittadino Nazionale del Femminicidio (OCNF), durante il governo di Felipe Calderón furono commessi 4112 omicidi di donne in sole 13 entità del paese. Per cui Felipe Calderón chiuse i suoi anni alla Presidenza sotto un’ombra fatta di più di 60 mila morti e di 150 mila persone sfollate come conseguenza della violenza legata alla lotta alla droga e alla sua strategia di sicurezza; così come di deficienze del sistema penale che lasciarono impunito il 98 per cento dei reati. In questo stesso fiume di violenza, oltre alle persone che hanno perso la vita nei supposti scontri con le forze armate, non ci sono dati certi sul numero di persone scomparse. Nel 2013 La Segreteria di Governo Messicana ufficializzò in circa 26121 le persone “non localizzabili”, in pratica scomparse, durante i sei anni di mandato presidenziale di Felipe Calderón. Secondo dati del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, la guerra contro la criminalità organizzata da Calderón causò più di 70000 morti, 20000 persone scomparse e più di 250000 sfollati. L’ultima cifra socialmente accettabile si avvicina ai 30000 scomparsi.