Tengo molto a questo pezzo, che voglio condividere con voi.
Nasce da un dialogo (che toccava anche altri temi) che da mesi sto avendo con Fabrizio Basciano, compositore e operatore culturale. Fabrizio risiede a Lamezia, mai suoi interessi e la sua ricerca non sono mai stati confinati in un ambito puramente locali. La sua dedizione verso la musica è profonda, verso la musica nel suo senso più ampio e profondo, verso quella che qualcuno definirebbe “la musica che viene dai secoli”.
Senza Disciplina non potrai veramente andare oltre “il muro del suono”.
Senza Disciplina non potrai restare in piedi quando cominceranno a piovere sassi.
Senza Disciplina, mollerai la presa, quando le cose si faranno difficili.
Senza Disciplina avrai sempre mille scuse per rimandare. Ci sarà sempre qualcos’altro da fare.
Con la Disciplina ci sarai anche sotto la pioggia. Ci sarai anche quando non avrai voglia di esserci.
Ci sarai come Wolfang Amadeus Mozart che ogni santa mattina si metteva sul suo tavolo a comporre.
Ogni giornio batterai un martello di ferro sulla tua campana.
E’ la Disciplina che ti sorregge anche quando la voglia è scarsa, anche quando lo stadio è vuoto, anche quanto c’è solo una fredda e grigia palestra ad ospitare il tuo canto.
E tu sei lì, in quella fredda e umida palestra, con la voce che senti stonata, e il silenzio intorno a te. Eppure canti lo stesso la tua canzone. Eppure fai uscire lo stesso la tua voce. Eppure dai sfogo lo stesso alla tua passione.
Finché cuore e mente saranno la stessa cosa, insieme al ventre e ai muscoli.
Ciò che Fabrizio racconta, in questa carrellata di grandi uomini, è il potere della perserveranza. E’ la forza di quella voce che dice:
“Continua, continua, continua”.
Continua,, oltre la voglia di resa, oltre l’attrazione del divano, oltre il senso di minorità.
Gli eroi una volta erano pulcini bagnati, e poi, solamente poi.. eroi.
Il legno viene scolpito ogni giorno. Le mode passano, mentre il sudore, quando è tanto, arriva a confinare con l’amore.
Vi lascio al dialogo con Fabrizio Basciano.
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-Fabrizio, iniziamo questo viaggio nel mondo della Disciplina:
Il percorso che voglio proporre per quello che è il tema della disciplina parte da una giornata tipo di quello che è stato uno tra i più grandi compositori della musica di ogni tempo, Wolfgang Amadeus Mozart. Sono voluto partire proprio da qui per un semplice motivo. Perchè il talento è una cosa, lo studio è un’altra. Ora tutti noi sappiamo che Wolfgang Amadeus Mozart è probabilmente il musicista in assoluto più rappresentativo per quel che concerne la tematica del talento. E’ stato il più stupefacente bambino prodigio, l’enfant prodige, il wunderkind. E’ quello che a 4 anni, ancor prima di imparare a scrivere il proprio nome, inizia a comporre stendendo su partitura i primi brani. E’ quello che prende in mano il violino e, senza mai avere ricevuto alcun insegnamento – e tutti quanti noi sappiamo quanto difficile sia suonare il violino, anche dopo anni -, comincia a suonarlo. Stiamo parlando di un talento, quindi, non esagerato, ma più che esagerato. Portatore di una “grazia”, di un dono che forse nessun altro musicista ha avuto mai la fortuna di ricevere. Nonostante ciò è molto interessante il fatto che Wolfgang Amadeus Mozart conducesse una vita completamente devota a quella che era la disciplina musicale, lo studio fermo e determinato della musica quale strumento di una disciplina interiore. Lo strumento musicale, la composizione e l’esercizio quali strumenti di una disciplina dello spirito. Perciò ora riporterò il passo di un libro grazie al quale prendere conoscenza di quella che era la giornata tipo di Wolfang Amadeus Mozaart.
“Nei primi anni viennesi, Mozart si alzava quasi sempre alle 6 in punto, si sedeva al suo tavolo alle 7 e componeva fino alle 9 o alle 10, quando cominciava il giro degli allievi a cui dava lezione fino all’una. “Poi mangio”, scrive alla sorella, “a meno che non sia invitato da qualche parte, si mangia alle due o anche alle tre. Prima delle cinque o delle sei di sera, non posso lavorare. Tornato nella sua stanza dopo diverse ore di visite in società” (doveva andare a procacciarsi i committenti, coloro che gli pagavano le opere che lui andava a scrivere) “componeva ancora per un’ora o due. “Spesso resto a scrivere fino all’una e alle 6 sono di nuovo in piedi”. Dormiva cinque o sei ore, anche se avrebbe prefeito dormirne sette. Pur con qualche variante questa era la routine della “vita quotidiana di Mozart”, così come la descrisse nelle “lettere alla famiglia”. A partire dal 1784 diede lezioni soltanto nel pomeriggio, così da tenersi libero il mattino per comporre. A volte, era così preso dallo scrivere, che non si vestiva nemmeno, né si faceva sistemare i capelli. Altre volte poteva comporre solo la será: “ogni minuto è prezioso”, scrisse una volta. “Sono sempre così occupato, che spesso non so più dove ho la testa”.. disse in un’altra occasione, riprendendo un’espressione tipica di sua madre. La moglie riteneva che si sarebbe ammazzato a furia di comporre tanto e ricordò come, spesso, restasse in piedi a comporre fino alle due e si svegliasse alle quattro”.
Tutto questo ci fa capire come il musicista più talentuoso di ogni tempo avesse come primo obiettivo quello dello studio senza sosta. Senza lo studio Mozart non sarebbe stato Mozart. Senza lo studio le sue musiche non sarebbero giunte alle nostre orecchie come allora suonavano nelle corti dei principi, dei vescovi, degli arciduchi, ecc. Lo studio rese grande questo musicista. Lo studio gli consentì di incontrare un suo grandi predecessore come J.S.Bach e coglierne inmediatamente tutta la grandezza, nonostante al tempo di Mozart Bach fosse stato pressoché dimenticato (verrà recuperato e restituito alla storia solo successivamente da F.Mendelssohn, ma ben dopo la norte dello stesso Mozart). Lo studio e solo quello gli permise di avere a che fare con un grande maestro vivente, a suo tempo, come Joseph Haydn, che fu il grande maestro di Mozart e al quale lui dedicò sei dei suoi più riusciti quartetti per archi. Senza lo studio Mozart avrebbe, come si suol dire, dissipato quel grandissimo talento naturale, e noi non avremmo assolutamente potuto godere della magnifica musica che poi ci ha lasciato in eredità. Ed è fondamentale sapere che musicisti come lui e come Johann Sebastian Bach avessero come prima regola, regola aurea, la totale dedizione verso lo studio della disciplina musicale, scienza delle armonie numérico sonore.
Qualcuno un giorno ha scritto che non tutti i musicisti credono in Dio, ma tutti credono altresì in J.S.Bach. Altro personaggio immortale della musica di ogni tempo e luogo, Johann Sebastian Bach nutrì è uno degli esempi massimi di disciplina in ambito musicale. La disciplina di Bach si può spiegare con un fatto molto semplice. Nella sua non troppo lunga vita – morì intorno ai 65 anni, tempo nel quale riuscì comunque a mettere al mondo 20 figli – scrisse un numero enorme di composizioni. Parliamo di più di mille composizioni (oggi se ne contano 1.128), alcune delle quali, come “La passione secondo Matteo” e le varie altre passioni, sono composizioni della durata di svariate ore ciascuna. Bach era il compositore del duomo di Lipsia e ogni settimana doveva preparare una serie di composizioni sacre per le funzioni religiose. Questo vuol dire che Bach doveva, ogni giorno, mettersi alla scrivania e comporre, comporre, comporre. Era un modo di fare spesso molto diverso da quello del compositore odierno, perché c’era quella sfera dell’artigianato che ricollega la figura del compositore a quella del fabbro. Altro dato molto interessante è che J.S. Bach studiava come un pazzo servendosi dello strumento della trascrizione, attività questa né collaterale né occasionale nella vita del compositore tedesco. Lui trascriveva i grandi della musica, soprattutto gli italiani (principalmente Vivaldi), e questo perché al tempo la grande musica era tutta italiana. Dunque prendeva le composizioni di Vivaldi, come di Corelli e di tutti gli altri grandi italiani del tempo, per trascriverle continuamente, fino all’ossessione. Trascrivendo tutti i grandi italiani, imparava sempre più l’arte della composizione finché, in età avanzata, dopo aver trascritto tutti i più grandi, si ritrovò a trascrivere se stesso e le proprie opere.
– Che risponderesti a chi dice che un musicista (ma la contestazione è estendibile ad ogni campo) dovrebbe comporre solo quando ha l’ispirazione?
Dipende dai tuoi obiettivi. Se il tuo obiettivo è quello di lasciare la musica e la tua produzione ad una dimensione hobbystica – indipendentemente dal voler fare i soldi o meno, cosa che non c’entra nulla -, allora affidarsi alla sola ispirazione può anche andaré bene. Se tu, invece, vuoi essere un professionista e dunque avere completa padronanza sulla tua arte, allora devi essere anche un grandissimo artigiano che si applica costantemente e che non dipende dalla casualità dell’ispirazione (che va e viene come vuole ed è dunque incontrollabile). Ricordiamo che – come ci dimostrano Mozart, Bach, Beethoven, fino ai grandissimi contemporanei – dietro un grandissimo artista c’è sempre un grande artigiano. Il grande artigiano non ha solo l’ispirazione come strumento. Perché, ripeto, l’ispirazione va e viene come vuole, tu non la puoi comandare. L’ispirazione è una questione di canali e i canali si aprono quando vogliono. Se tu non vuoi essere completamente dipendente dall’ispirazione devi, ancor prima che pensare di diventare un grande artista, puntare a divenire un buon artigiano, qualsiasi sia l’arte che stai coltivando.
Adesso porterò l’esempio di Franco Battiato, un musicista contemporaneo che, nei primi anni novanta, in un’intervista con Franco Pulcini, parlava di quella che era la giornata tipo che avrebbe desiderato potesse ripetersi nel suo futuro.
“Nell’ultimo periodo, una giornata che vorrei si ripetesse nel futuro è questa, e rappresenta un ideale che ho in qualche modo raggiunto. Al mattino passo ore di studio al pianoforte, una specie di rivisitazione dei classici che per me è una disciplina e un metodo molto vicino alla meditazione. Posso suonare solo poche cose. Per esempio certe sonate di Beethoven. Lo studio è fatto di omogeneità nel tocco. Non sono certo all’altezza delle perfezione, ma mi sforzo di suonare con musicalità. Poi c’è il lavoro manuale. Dorare le tele o le tavole dei miei quadri. Seguono le letture della vecchia scuola sufi, come piacere personale e come possibilità di tradurre questi testi per “L’ottava”, la mia piccola casa editrice. Quasi tutta la giornata è dedicata alla musica e allo spirito. Passato l’ìmbrunire, mi metto davanti alla televisione e mi abbrutisco la sera con qualche film o telefilm.
Questa era la giornata tipo di Franco Battiano nei primi anni ’90. Oggi la giornata tipo di Franco Battiato, molto simile a quella che descrisse ormai quasi 25 anni fa, è fatta più o meno così: la sua sveglia è tra le 5 e le 6 del mattino. Subito dopo essersi lavato ma prima di andare a fare colazione, Battiato lava il corpo interiore con la meditazione del mattino. Una meditazione di circa mezz’ora al termine della quale passa alla colazione. Il passaggio appena letto è importante, in quanto la meditazione viene sempre prima della colazione. Dopodiché inizia lo studio. Può essere lo studio del pianoforte come quello di una partitura, il lavoro su una tela o anche su un nuovo progetto. Che sia l’una o l’altra cosa, il nostro si dedica allo studio per tutta la giornata. Alla sera, all’imbrunire, parte un’altra meditazione. Quindi due meditazioni al giorno: una all’alba, la seconda all’imbrunire.
Sempre restando su Battiato, è molto interessante il suo approccio con la pittura. In campo pittorico lui partì dalla totale mancanza di estro, di talento, Per fare un esempio, se voleva disegnare un uccellino quello che realizzava, a sua detta, aveva le sembianze di tutt’altro. Di fronte a quello che il compositore catanese considerava per se stesso un vero e proprio hándicap, non ebbe soluzione migliore che imporsi una disciplina finalizzata ad un obiettivo: arrivare a dipingere qualsiasi cosa. Per due anni non fece altro che provarci ogni giorno, pasando attraverso continui fallimenti e dunque atroci sofferenze e scoraggiamenti. Dopo due anni vi fu quello che lui definì un vero e proprio “orgasmo cosmisco”, quando con un solo gesto riuscì a dipingere un sufí danzante. Quello fu il momento in cui, dopo due anni di tenacia, determinazione e pazienza finalmente si vide giunto alla realizzazione di un sogno. Questo stesso concetto può essere traslato e applicato, in ámbito musicale, a tutti coloro i quali sanno di essere stonati. La stonatura, come ogni deficit, può essere sempre corretta. Chiunque può intonarsi, bastano un pò di dedizione, tanta passione e certamente molta pazienza.
Dopo Battiato vorrei passare a Tulku Urgyen. Morto nel febbraio del 1996, Tulku Urgyen Rinpoche fu un lama tibetano tra i più grandi. Nel suo libro “Dipinti di arcobleno” – che è un libro essenziale per capire la filosofia e la pratica tibetana – emerge lampante il ruolo decisivo della disciplina interiore. Disciplina interiore intesa come ripetizione quotidiana di gesti che assurgono a elementi ritualizzanti. Molto interessante il passaggio di questo libro nel quale l’autore parla della distrazione. Ora riporterò, saltellando qua e là, alcuni passi:
“La capacità di riconoscere che l’essenza della mente è vuota, si chiama chiarezza. Vacuità e chiarezza sono indivisibili. Non si tratta più di una idea intellettuale di vacuità. Diventa parte della nostra esperienza. Chiamiamo questo allenamento meditazione. Non si tratta di un modo di meditare nel senso comune del termine. Non si tratta di sviluppare l’essenza della mente, cercando di mantenere uno stato vuoto creato artificialmente. Perché? Perché l’essenza della mente è già vuota. Allo stesso modo non è necessario far sì che questa essenza vuota diventi chiarezza. E’ già chiarezza. Il punto cruciale è non distrarsi, nemmeno per un istante. Quando arriva il riconoscimento, il punto chiave della pratica è la non meditazione senza distrazione. Distrazione significa che quando l’attenzione oscilla e si perde, pensieri ed emozioni cominciano a formarsi. “Voglio fare questo e quello”, “mi chiedo cosa potrò dire a questa persona”. La distrazione è il risultato di tutti questi pensieri, quando il risultato della consapevolezza non dualistica si perde. L’allenamento consiste semplicemente nel ristabilire il riconoscimento. Se c’è il riconoscimento non c’è altro da fare. Lasciare che l’essenza della mente semplicemente sia. In questo modo gli strati di nubi si dissolvono gradualmente. (…) La realizzazione totale si raggiunge ripetendo molte volte brevi momenti del riconoscimento. Quando il riconoscimento si estende senza interruzione per tutta la giornata, quando questo dura ininterrottamente giorno e notte, abbiamo realizzato lo stato di Buddha.”
– Mi piace il tuo descrivere mondi diversissimi, uniti dall’architrave della Disciplina.
La cosa importante è parlare di disciplina in vari ambiti. Da quello musicale a quello pittorico, da quello meditativo a quello imprenditoriale.
Adesso però desidero ritornare in ambito musicale e parlare di Arvo Part. Compositore estone trasferitosi in Germania, a Berlino, negli anni ’60, lui, come tutti i compositori della musica cosiddetta d’arte, accademica (altrimenti detta classica contemporánea), si diploma in composizione in conservatorio e inizia poi a scrivere attraversando quelli che sono gli ambienti delle cosiddette neoavanguardie. Le neoavanguardie sono movimenti musicali che prendono corpo nella seconda metà del novecento e che utilizzano tecniche che si rifanno a quella che è la dodecafonia shoenberghiana dei primi del Novecento, con l’intento di svilupparla nella realizzazioni di nuovi esiti compositivi. Inizialmente Arvo Part milita in queste correnti e le sue opere si inseriscono perfettamente nei canoni stilistici di quell’epoca e di quell’ambiente musicale. Poi però succede qualcosa, a propósito della qual cosa leggerò adesso un passo tratto dal libro intervista Arvo Part allo specchio, dialogo tra il compositore estone e il musicologo italiano Enzo Restagno. Qui parla Enzo Restagno:
“Fino al 1968 lei ha scritto seguendo il metodo dodecafonico, magari applicandolo in maniera non troppo rigorososa, dimostrando in ogni componimento il disagio tipico di quelli che ancora non hanno trovato una soluzione veramente personale ai propri problemi… A questo periodo travagliato seguì un lungo periodo di silenzio, dal quale sarebbe scaturita finalmente una prospettiva veramente personale. Mi rendo conto di quanto sia difficile e delicato ricostruire il cammino percorso durante quelle stagioni silenzione. Ma per la mia indagine, soprattutto per tutti coloro che leggeranno queste pagine, si tratterà di una occasione preziosa”.
A.P.: “Mi ero convinto che con quei mezzi non avrei potuto proseguire. Per me non c’era materiale a sufficienza. Così smisi praticamente di scrivere musica”.
Nel 1968 Part smette di comporre per un periodo complessivo di 8 lunghissimi anni. Per qualsiasi compositore il silenzo totale, non scrivere più nulla per otto anni, non assistere più all’esecuzione di nessuna nuova composizione propria, è un’azione che richiede un coraggio e una determinazione pazzesche. E’ qualcossa che, se da una parte manifesta un grandissimo disagio interiore, dall’altro vede la persona che lo vive nell’intento di volerlo necessariamente affrontare. Riprendendo con le parole di Arvo Part:
“volevo prendere contatto con qualcosa di vivo, di semplice e non distruttivo. Quando lavoravo alla radio maneggiavo strumenti sofisticati ed efficienti come altoparlanti e magnetofoni. Ma improvvisamente sentii la sensazione di dovermi allontanare da quel lusso, perchè percepii che mi avrebbe ingabbiato e costretto a procedere in un’altra direzione. In seguito, quando ho dovuto lavorare con degli apparecchi, ho scelto i più semplici. (…) Non mi importava niente delle frequenze alte o basse, della riduzione del rumore, volevo soltanto una linea musicale che fosse portatrice di un’anima, come quella che esisteva nei canti di epoche lontane, come ancora oggi nel folklore. Una monodia assoluta, una nuda voce dove tutto ha origine. Volevo imparare come si fa a condurre quella linea, ma non avevo nessuna idea in proposito. Avevo a disposizione soltanto un libro di canti gregoriani, un liber usualis, provenienti da una piccola chiesa di Tallin. E mi sono messo a cantare e a suonare quelle melodie con lo stesso spirito con cui ci si sottopone ad una trasfusione di sangue. Era un lavoro terribilmente faticoso, perché non si trattava di un semplice passaggio di informazioni. Dovevo capire a fondo come era nata quella musica, come erano le persone che l’avevano cantata, cosa avevano provato nella vita, come l’avevano scritta e come quella musica si era tramandata nei secoli.”
– Fabrizio questo è veramente uno dei punti più alti di tutta la tua descrizione. E’ straordinario, è bellissimo.
Non dimentichiamo come il silenzio di questo autore è durato otto anni. Per otto anni non ha fatto altro che questo. Non ha fatto altro che suonare meleodie gregoriane al pianoforte, con l’obiettivo di azzerare tutto e ripartire con un nuovo udito, un nuovo orecchio.
Continuo con la sua descrizione :
“.. quella musica si era tramandata nei secoli, diventando la sorgente dalla quale deriva la nostra. In qualche modo sono riuscito a stabilire un contatto con quella realtà musicale, che però non ho mai usato come citazione, fatta eccezione per un’opera di qualche anno fa, che ho scritto per il duomo di Bologna. In quella musica le note che si susseguono formano veramente un discorso, … in formazioni concrete, qualcosa di simile al canto degli uccelli. Noi non lo comprendiamo, ma loro si capiscono. (…) Dovevo continuare a scrivere solo musica melodica? E che cosa sarebbe successo con una seconda e una terza voce? Che ne sarebbe stato dell’armonia e della polifonia? Dove avrebbe potuto nascere una seconda voce? Assediato da questi dubbi mi misi a riflettere sugli albori della polifonia e compresi che essa è qualcosa di molto più complesso e profondo di quanto le rigide regole facciano supporre.”
Qui interviene la moglie di Arvo Part, Nora Part e dice:
“quello che lui voleva fare era sviluppare un nuovo orecchio, così ha rinunciato ad ascoltare qualsiasi altro tipo di musica. Voleva scoprire dentro di sé quella misteriosa sorgente, e lasciarne sgorgare liberamente i suoni. Per questo cercò di rintracciare quel tipo di informazioni che avrebbero potuto aiutarlo in questo compito. Si impegnò nella lettura dei salmi e, immediatamente dopo averne letto uno, provava a scrivere una liena melodica senza cesure, senza controllo, quasi come se fosse un cieco. In modo da trasformare direttamente in musica le impressioni suscitate dal testo. Arvo voleva sviluppare la sua spontaneità, e non solo con quegli esperimenti con i salmi. Riccordo che fissava gli stormi di uccelli in volo, li disegnava sui suoi quaderni, e poi ci scriveva accanto una melodia. Altrevolte si serviva delle fotografie delle montagne come ispirazione per trovare delle frasi musicali. Sentiva che negli anni precedenti l’osservanza di regole fredde e morte aveva spento in lui quegli impulsi più liberamente creativi che cercava di recuperare. E’ interessante notare che più tardi tornò a darsi delle regole, ma di tutt’altra qualità”.
Negli anni in cui questo straordinario compositore osservò “la regola del silenzio”, in quegli anni in cui non compose nulla, in cui non fece alcuna uscita musicale, lui e la moglie soffrirono di condizioni economiche terribili. E questo sottolinea ancora di più il coraggio e la forza di Arvo Part nell’affrontare se stesso, i suoi dubbi, nel riuscire a contenerli, a comprenderli.
Andando oltre, passerei ora a Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry . In questo piccolo e meraviglioso libricino, si celano – dentro tutti i vari racconti – delle verità di ordine esoterico. Probabilmente l’autore era un esoterista, ed è molto interesante il fatto che in questo volumetto egli riesca a veicolare grandi verità d’ordine esoterico dietro a metafore costruite con maestria micidiale. Nello specifico voglio parlare del capitoletto dei Baobab. Faccio prima qualche accenno al suo senso, in modo tale che durante la lettura si possano associare le immagini descritte da Exupery alla verità esoterica che si cela dietro di esse. L’autore con i baobab intende riferirsi ai pensieri, e questo capitoletto è un chiaro invito che Il Piccolo Principe fa alla disciplina della meditazione. Si può decodificare questo messaggio in quella parte del capitolo in questione nella quale il protagonista dice che ogni mattina, súbito dopo essersi lavati, occorre fare pulizia, quindi estirpare questi baobab negativi, ovvero estirpare questi pensieri negativi:
“I baobab prima di diventare grandi cominciano con l’essere piccoli”.
“Esatto”.
“Ma perché vuoi che le tue pecore mangino i piccoli baobab?”.
“Beh, si capisce”, gli rispose come se si trattasse di una cosa evidente. “Infatti sul pianeta del piccolo principe ci sono, come su tutti i pianeti, l’erbe buone e quelle cattive. Di conseguenza, dei buoni semi di erbe buone e dei cattivi semi di erbe cattive. Ma i semi sono invisibili. Dormono nel segreto della terra. Fino a che all’uno o all’altro piglia la fantasia di risvegliarsi. Se si tratta di un ramoscello di ravanello o di rosaio, si può lasciarlo spuntare come vuole, ma se si tratta di una pianta cattiva, bisogna strapparla subito appena si è riconosciuta. C’erano dei terribili semi su quel pianeta del piccolo principe. Erano i semi dei baobab. Il suolo ne era infestato. Ora, un baobab, se si arriva troppo tardi, non si riesce più a sbarazzarsene. Ingombra tutto il pianeta, lo oltrepassa con le sue radici, e se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare (…) “E’ una questione di disciplina”, mi diceva il piccolo principe. “Quando si è finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai, ai quali assomigliano molto quando sono piccoli. E’ un lavoro molto noioso, ma facile”
.
E’ molto interesante, oltre ai contenuti che l’autore del romanzo tradotto in 250 lingue riesce a metaforizzare grazie a immagini accessibili a chiunque, notare come il piccolo principe, analogamente a tutti coloro i quali facciano della meditazione una pratica e un rituale quotidiani, indichi chiaramente di praticarla appena dopo il lavaggio del proprio corpo esterno.
Giunti alla conclusione del nostro percorso nel tema della disciplina quale strumento di miglioramento di sé, voglio ora andare a scomodare addirittura Walt Disney, facendo emergeré come quello della disciplina è argomento riscontrabile in qualsiasi ámbito dell’esistenza Personaggio discusso per tante ragioni, è per noi partcolarmente interesante per quel particolare momento della sua vita nel quale decise di elaborare il progetto del primo parco giochi Disneyland al mondo. Per realizzare il suo progetto non bastavano certamente le idee, ma occorrevano ingenti finanziamenti, per ottenere i quali ques’uomo iniziò a proporre il suo progetto a diversi potenziali finanziatori. Ebbene, i risultati iniziali furono scarsi per non dire totalmente deludenti, e Disney andò collezionando un numero enorme di rifiuti. Prima di giungere al tanto sperato si, il creatore di Topolino si sentí ripetere la parola no per ben 1.008 volte, dunque da 1.008 soggetti diversi. Sappiamo benissimo che la maggioranza degli altri esseri uomani si sarebbe scoraggiata molto prima del millesimo tentativo ed avrebbe iniziato a pensare che doveva esserci qualcosa di sbagliato nel progetto. Ebbene, questa è la stessa cosa che pensó Walt Diseny, con la sola differenza però che decise innanzitutto di insistere e, in secondo luogo, di utilizzare ogni rifiuto quale risorsa utile a migliorare il progetto stesso, facendosi indicare dal finanziatore di turno per quali motivi, per quali ragioni non era a suo dire sostenibile. Migliorando gradualmente il progetto riuscì infine a realizzare il suo sogno. Prendere esempio da Disney, Mozart, Bach, Battiato, Part, e da tutti quei personaggi che hanno dato e danno prova di tenacia, perseveranza e disciplina, è quanto di meglio si possa fare qui, oggi.