Mentre il Pentagono annuncia la “neutralizzazione” delle armi chimiche un tempo detenute dal regime di Damasco (Siria), armi chimiche prodotte nel ’46 risultano ancora presenti sul territorio Italiano, come riportato da una interpellanza parlamentare della deputata Marietta Tidei lo scorso 18 giugno 2014.
Non è dato sapere «quale sia la loto tipologia (…) nonché i quantitativi effettivi ancora da distruggere»
Lo studio di Legambiente datato 2012 (Armi chimiche: un’eredità ancora pericolosa) solo alla premessa cita :
- Oltre 30mila ordigni inabissati nel sud del mare adriatico, di cui 10mila solo nel porto di Molfetta e di fronte Torre Gavetone, a nord di Bari.
- 13mila proiettili e 438 barili contenenti iprite, un pericoloso liquido irritante, e diversi ordigni chimici contenenti iprite, lewisite (liquidi irritanti) e fosgene (gas asfissiante) nel meraviglioso golfo di Napoli.
- 4300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico nel mare antistante Pesaro.
- Laboratori e depositi di armi chimiche della Chemical City nei boschi della Tuscia in provincia di Viterbo e l’industria bellica nella Valle del Sacco a Colleferro (Rm), nata 100 anni fa per fornire tecnologie e sostanze di supporto agli armamenti.
- Infine le aree di sgancio degli aerei Nato nel basso adriatico, dove giacciono, secondo le stime dell’allora Istituto centrale per la ricerca scientifica applicata al mare, oggi Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), migliaia di bomblets , piccoli ordigni derivanti dall’apertura delle bombe a grappolo sganciate sui fondali marini.
Sostanze altamente inquinanti derivanti prevalentemente dalla pesante eredità bellica del periodo fascista, che continuano a minacciare l’ambiente e la salute delle popolazioni locali.
«Tali armi (ha detto durante il suo intervento l’On. Tadei) avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia all’Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell’attività di distruzione delle suddette armi, senza la prescrizione di una data stabilita, né a breve né a medio termine.
Pertanto, l’Italia deve distruggere gli ordigni chimici in suo possesso , nel più breve tempo possibile, fornendo su base volontaria un rapporto riguardante le attività di distruzione».
In pratica: le armi vanno distrutte, ma non c’è una scadenza da rispettare !! … nel frattempo, l’OPAC ha disposto 3.347.667 € come contributo per l’Italia.
Il processo di distruzione sarà possibile attraverso “un ossidatore termico“, nel territorio di Civitavecchia, simile a tre esemplari già presenti in Giappone, Germania e Stati Uniti.
«L’impianto (secondo quanto dichiarato il 20 marzo 2014 dal sottosegretario di Stato alla Difesa, Gioacchino Alfano) non si configura quale ‘inceneritore’, in quanto i proiettili detonano per effetto del calore generato elettricamente (fino a temperature di circa 500° C) all’interno di apposite camere e gli aggressivi sono decomposti per azione del calore stesso (ossidazione termica) e non di una fiamma libera alimentata da carburante esterno, come avviene, invece, negli inceneritori di oltre 1.000° C».
Un processo che dovrebbe svolgersi senza “rischi” per i lavoratori e per i residenti delle aree interessate.
«L’impianto (ha assicurato il sottosegretario) garantirà un impatto ambientale minimo, grazie ad emissioni in atmosfera ampiamente entro i limiti imposti dalla vigente normativa».
Occorre rispettare gli impegni presi, in caso contrario «l’Italia risulterebbe non ottemperante ad una Convenzione internazionale alla quale ha deliberatamente aderito», quella di Parigi sulla proibizione delle armi chimiche, entrata in vigore il 19 aprile del 1997.
Diciassette anni fa !!
Se siete alla ricerca continua di fonti sugli esperimenti chimici perpetrati in Italia e puntualmente “sotterrati dai media”, e soprattutto se avete almeno 4 dita di pelo sullo stomaco, consiglio l’analisi del sito www.velenidistato.it poi non dite … “non lo sapevo” !!